3 giorni all’inizio del campionato, della nuova stagione. Tutte le squadre stanno limando gli ultimi dettagli di una minuziosa preparazione cominciata oltre un mese fa, prima con il duro lavoro atletico e successivamente con una serie di test amichevoli per mettere in luce quanto appreso in termini di tattiche e schemi di gioco. Diverse società hanno cambiato la guida tecnica, con conseguente adeguamento a nuove idee e soluzioni. Ogni dirigenza ha operato sul mercato per rendere forte la propria squadra, per permetterle di vincere attraverso il bel gioco togliendosi soddisfazioni giornata dopo giornata. In Italia, così come in Germania, Spagna, Inghilterra ciascun team si prefisserà degli obiettivi all’inizio del campionato: c’è chi punta allo scudetto, chi punta all’Europa, chi a salvarsi tranquillamente. Nessuno partirà mai con la mentalità di retrocedere, tutti vogliono stupire.
Eppure il calcio italiano è indietro. Tanti problemi da risolvere, troppi da colmare tutti assieme. Occorre una riforma progressiva nel tempo e tantissimo lavoro. Il primo problema è economico: senza troppi giri di parole, i club italiani non possono permettersi (salvo alcune eccezioni) i patrimoni delle squadre di Premier League, di Liga o di Bundes. Questo perchè l’orizzonte della maggior parte dei club italiani è circoscritto al territorio nazionale, mentre il denaro viene da fuori. Il mercato è diventato sempre più orientato all’abbattimento dei confini fisico/geografici, è una realtà dinamica perciò chi non si espande non emerge. Alcuni club hanno capito come muoversi, le tournée organizzate in Cina, Indonesia, Usa ne sono la conferma, ma non basta. Occorrono strategie di marketing all’avanguardia, il pubblico deve essere il destinatario principale, la passione il fuoco che alimenti tale sport perchè il calcio è un gioco prima di essere denaro, trasferimenti, transazioni, fideiussioni…
Il secondo problema è di tipo organizzativo. Stadi e categorie sono solo due macroargomenti. Ricollegandosi al problema precedente, se una squadra ha un determinato capitale può permettersi di avere uno stadio di proprietà e dunque entrate dirette alla società e non mediate da Comuni e servizi esterni. La Juventus è stata la prima società a costruire un proprio stadio (155 mln di euro), seguita dall’Udinese (25 mln di € per la ricostruzione) ed attualmente sono numerosi i progetti in attesa di approvazione (Roma, Napoli, Milan e Inter). Se lo stadio diventa un’impresa a tutti gli effetti, i guadagni possono essere esorbitanti. Ristoranti, musei, negozi sono solo alcune delle possibili attività che si possono inserire all’interno di queste strutture, senza dimenticare che gli incassi delle partite sarebbero totalmente nelle mani della società titolare dello stadio. Le collaborazioni comunali vanno bene da un lato per le squadre che non detengono questi capitali, ma dall’altro esaltano la differenza economica dai grandi club. Ovviamente se club di Serie A si trovano in questa difficile situazione, per i club di Serie B e delle categorie minori non c’è altra scelta che ricorrere ad affitti e prestiti. Il divario tecnico tra categorie in Italia è evidente, ma diventa preoccupante se paragonato agli altri Paesi. Le squadre versano in condizioni economiche disastrose, non riescono ad iscriversi ai campionati, le strutture non sono efficienti… servono maxi controlli alle società per evitare altri casi Parma, Varese, Reggina, Monza, squadre storiche ma costrette al fallimento. La Lega Pro è una farsa finanziariamente, un’idea geniale sul piano geografico: tre gironi (Nord, Centro, Sud) in modo tale da far risparmiare denaro per le trasferte. Nonostante questo non si riesce nè ad innalzare il tasso tecnico, nè a risolvere i problemi economici. Perciò occorre tagliare i club che economicamente non ce la fanno, magari fondendo assieme più realtà per ottenere più risorse. Si avranno meno squadre, ma più solidità, più sicurezza e campionati più seri e veri. Invece dei campionati primavera, si potrebbero introdurre anche in Italia le seconde squadre (come del resto avviene in Germania e Spagna) così da permettere ai giovani ragazzi di interfacciarsi già con campionati di un certo livello ed essere così già pronti per il calcio che conta. Solo l’Inghilterra può permettersi di avere formazioni Under 21 che giocano un campionato a parte, ma gli inglesi sono di un’altra categoria, per ora.
Il terzo problema riguarda i tifosi. Gli stadi sono troppo spesso vuoti per diversi motivi: prezzo dei biglietti elevato, squadre in difficoltà tecnica, televisione che trasmette i match, mancanza di passione, prefetture che chiudono le curve… Sarebbe bellissimo vedere il Bentegodi pieno ad ogni partita dell’Hellas Verona come in occasione dello scudetto della stagione 1984/85 eppure i sold out si vedono molto raramente il che è triste. Si dovrebbe prendere spunto da alcune realtà minori (e qui il Sud Italia è maestro) come Taranto, Lecce, Palermo e molti altri club, dove non importa in che categoria giochino le loro squadre, i tifosi andranno sempre allo stadio a supportare i loro colori e la loro passione. Ecco in questo emerge a 360 gradi cosa vuol dire amare il calcio, educare i propri figli fin da piccoli ai valori che questo sport trasmette, al senso di unione, di amicizia e sportività. Sul fatto che nel calcio giri troppo denaro siamo tutti d’accordo, ma lasciamo l’economia a chi davvero se ne intende non ad incompetenti che offrono zero garanzie. Noi, invece, dovremmo tutti aprire l’armadio e prendere la sciarpa o la maglietta della nostra squadra e ripensare alle grida di gioia, ai pianti ed a tutte le emozioni provate nel tifare quei colori. All’amante del calcio scapperà sempre un sorriso per ogni impresa calcistica sentita, dai 4 scudetti consecutivi della Juve alla favola del Carpi in Serie A.
Grazie per la lettura, ho letto con piacere. Posso segnalare una cosa? Hanno oscurato la Champions su Sky, ma chi ha Astra la champions la vede #gratis eccome!